Dove ha inizio la flessione d'una linea retta?
Dove si può situare il momento - il tempuscolo o il micro-spazio - in cui, dal percorso lineare continuo, si trapassa ad una diversa direziono spaziale, si giunge all'estroflessione, all'introflessione, all'angolo, alla curva?
Questi, forse, sono i primi problemi che si è posto Italo Antico nel dar-vita alle sue ultime opere: alla serie di sculture lineare che, per l'appunto, sono così lontane dal "tutto-tondo" della statuaria di ieri, e anche dalle recenti mode del rottame, di ferro, del meccanomorfo, o delle strutturazioni primarie.
Lo scultore, infatti, - ma sarebbe più giusto dire: l'operatore plastico-spaziale - ha cercato negli ultimi due o tré anni, di sviluppare, entro una vasta serie di opere tra di loro coerenti, un motivo unico che è appunto quello della spazialità sottesa ad un percorso lineare, basata sopra una modularità standardizzata e mirante a costituire una situazione in sé conchiusa, ma sempre in rapporto allo spazio circonvicino: una modulazione, dunque, dello spazio attraverso l'immissione in esso di queste scarne strutture scheletriche. Operazione, del resto, che si riallaccia a quelle tentate dall'artista negli anni precedenti con elementi volumetricamente più sviluppati e con un impianto "scultoreo" più tradizionale, ma egualmente ideati come suscitatori di ritmi e di scansioni nello spazio ambientale o addirittura in quello urbano.
Giacché molti di questi lavori - oggi ancora allo stadio di bozzetti o di modelli in scala minore - potrebbero acquistare la loro vera dimensione solo se innestati entro l'atmosfera cittadina o territoriale, sviluppandosi in misura ben maggiore di quella oggi soltanto accennata. Per cui, se, da un lato alcuni di questi pattern plastici sono la copia ridotta, il modello di grandi opere scultoree; esse sono altre volte anche la dilatazione di forme analoghe, ma miniaturizzate quest'ultime, e ridotte a livello di monile, di gioiello, pur conservando inalterate le loro qualità ritmiche, le loro direzionalità cinetiche, la loro stessa espressività plastica.
Queste brevi annotazioni sull'ultima fase dell'opera di Antico potranno forse chiarire la situazione d'un lavoro intenso e impegnato dell'artista cagliaritano; ma non bastano, credo, a dirne il vasto e com-plesso retroscena esistentivo ed umano.
Il "caso Antico" non è dei più semplici. Questo artista, nato a Ca-glairi, ma vissuto nell'infanzia - per vicende familiari varie - in Albania; educato in parte a Trieste; riapprodato attorno agli anni cinquanta nella sua Isola, ha percorso - prima di dedicarsi definitivamente alla scultura tappe diverse e faticose, dalle esperienze giovanili di mozzo sulle rotto dell'Oriente e delle Americhe, a studente dell'Istituto Nautico; da paziente di un sanatorio lombardo, a professore d'un Liceo artistico. Ma, tutte queste tappe non sono state che gli equivalenti - più umanamente sofferti - di altrettante tappe creative: quelle che di solito l'artista giovane percorre passando da un "maestro" all'altro, da un pellegrinaggio parigino ad uno newyorchese o milanese.
Antico, invece, ha preferito maturarsi lentamente, ma autonomamente; non per interposta persona; accumulando le esperienze tecniche (dai disegni per arazzi e per tappeti, alle ceramiche, ai gioielli, che gli hanno dato una notorietà internazionale) e le esperienze esistensive, trascurando, invece, quelle tappe obbligate di quasi ogni curriculum arti-stico odierno, che sono costituite, di solito, dall'assalto alle mostre per-sonali, ai premi, ai concorsi, ai collezionisti, ai musei.
Ecco perché il suo nome è noto sin'ora soltanto a quei pochi che hanno avuto agio di conoscerne fortuitamente l'opera, mentre ci auguriamo e gli auguriamo che lo sia tra breve anche a quel pubblico più vasto senza l'appoggio del quale purtroppo un artista rischia di perdere la fiducia in se stesso e nel futuro della sua volontà creativa.
Gillo Dorfles
1972 |
Galleria Cadario - Milano - 1972
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